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Cinema – Omar Sharif

  Un villaggio ricostruito nel 2000 alla periferia del Cairo, dalla casa di produzione egiziana EMPC, per le sue riprese cinematografiche.

  Avendo avuto, anni fa, l’opportunità di passare una settimana al Cairo, ho deciso – oltre che a rivedere i luoghi in cui ero stato tre decenni prima per quasi un intero anno con una borsa di studio – di conoscere di persona Omar Sharif, più che altro per appurare se corrispondeva al vero che ci fosse una mia inusuale somiglianza con il più famoso attore egiziano.

  Infatti, quando ero stato in quel paese, gli Egiziani – allora portavo spioventi baffi – sovente facevano presente questo accostamento, che, tra l’altro, mi faceva sentire più a mio agio tra i nativi, che non mi hanno mai dato del “khawaga”, cioè dello straniero, anche perché cercavo sempre di parlare solo in arabo con loro, dicendo che non conoscevo l’Inglese, ma il Tedesco, lingua che quasi nessun Egiziano conosce. Ciò che tra le altre cose mi mi hanno allietato in questo ritorno al Cairo è stato il pronto riconoscimento – dopo trenta anni – di un fruttivendolo da cui mi servivo spesso. “Ezzaiak Bruno, enta kunti feen?” Ciao Bruno, dove sei stato?

  Ciò che segue è la cronaca dell’incontro con Omar Sharif. Mi ero dunque lasciato alle spalle il traffico della megalopoli del Cairo e mi ero diretto con un taxi verso la periferia della città per incontrare questo attore molto amato anche dal pubblico italiano. In quel momento egli si trovava nella sua terra d’origine per registrare una telenovela televisiva di trenta puntate (30!) dal titolo Hanan wa Hanin – Compassione e Nostalgia – per il gruppo egiziano EMPC.

  Sento borbottare ad un certo punto l’autista che sta cambiando percorso: “Questa macchina è come un asino – si scusa –  se non sto attento, tende sempre a ritornare verso casa mia”. E invece la stanchezza di fine giornata che lo ha preso, dovendo vivere e lavorare nel termitaio dei tanti milioni di persone che gravitano sulla capitale; malgrado la costruzione del Metro e di numerosi percorsi sopraelevati, la congestione, l’affollamento, l’inquinamento e il rumore raggiungono valori iperbolici.   

  Finalmente arrivo davanti all’ingresso di un quartiere recintato da un muro di protezione che ospita numerose ville con al centro un campo da golf. Si apprezza subito il silenzio della zona, l’aria è fresca e pulita e si nota l’assenza di persone nei viali del compound. Le guardie di sicurezza ci hanno indicato il percorso e in breve tempo il tassista parcheggia di fronte alla villa indicata da un numero.

   

  Suono il campanello e mi apre un inserviente che mi introduce in un ampio salone. Omar è ancora seduto su un divano di fronte ad una collaboratrice con la quale sta provando la recitazione di questo serial televisivo che lo impegnerà per ben sette mesi. Colpiscono il suo sguardo profondo, in questo caso misto ad una certa non dissimulata irritazione, dovuta alla forzata interruzione; ma l’accoglienza è comunque cordiale. Non dimostra i suoi 75 anni, e la caparbietà del suo segno zodiacale, l’Ariete, si manifesta in questa sua ulteriore sfida professionale: memorizzare ben ottocento pagine (800!) del copione di questa telenovela. Il tempo a mia disposizione è dunque breve, gli chiedo quindi subito come ha iniziato la carriera cinematografica.

  “Vengo scoperto a 21 anni dal regista egiziano Joussef Chahine con il quale giro un film, presentato nel 1953 al festival di Cannes, dove riscuoterà un certo successo. Con lui ho girato altri due film e poi ho continuato a fare una ventina di altri film in Egitto, finchè nel 1961 mi scelgono per Laurence d’Arabia per il quale ho vinto un Golden Globe e ho avuto la nomination all’Oscar. Poi il Doctor Zivago, nel 1965, mi ha lanciato in una carriera a livello mondiale. Nel 1963 mi sono trasferito negli USA, ma in effetti non mi piaceva vivere lì, così dopo qualche anno mi sono insediato a Parigi, ma lavoravo in tutto il mondo; nel 1967 ho girato anche in Italia con Sofia Loren in un film di Franco Rosi, “C’era una volta”, una favola napoletana che all’estero però non è stata capita.”

  Da noi, come del resto in Egitto, sei ancora molto ricordato…

  “L’Egitto l’ho lasciato perché non mi piaceva il regime militare di Nasser e ci sono ritornato solo nel 1977 con l’avvento di Sadat. Il Presidente l’avevo incontrato alla Casa Bianca ad un ricevimento in suo onore e lui mi chiese di ritornare: “Sei un nostro figlio”, mi disse. Da allora ci sono ritornato spesso, ma vivo sempre all’estero. In quanto all’Italia, è un paese che amo, e gli Italiani lo sanno – specialmente a Napoli – e vengo contraccambiato.”

  E il suo Italiano che è proprio eccellente, incespica raramente nelle omonime parole in francese. In San Pietro – una fiction RAI di quattro ore del 2006 – hai avuto il ruolo principale.

  Omar, hai usato il metodo di recitazione Stanislavskij nella tua formazione di attore?

  “Non credo in questo metodo che consiste nell’utilizzare una parte della propria personalità che è compatibile con il personaggio del copione; quando l’ho applicato, negli Stati Uniti, ho faticato moltissimo, quindi mi affido alla logica e alla mia esperienza. E non vedo altri film, non ne vedo da anni, né al cinema, né alla televisione. E non mi piacciono i gadget tecnologici, nè guido auto. E non ho case, vivo sempre negli alberghi. Ora però, con l’occasione di questo lavoro per la EMPC, mi voglio godere la presenza di mio figlio che adesso ha cinquanta anni, e giocare anche con i miei nipotini”.

  Insomma, Omar, ti sento un po’ stanco (glielo dico in dialetto Egiziano: Enta bayyin alek shuwaya ta’abaan…).

  “Ana taabaan, ma come vedi non ho smesso di lavorare, anche se il più si trova ormai nel mio passato; intendo solo portare avanti le proposte che mi piacciono.”

  Intuisco che questo ultimo suo lavoro per la EMPC lo sta sta proprio stressando, non dal punto di vista professionale, quanto per avergli levato lo spazio ai suoi affetti più cari. 

  Un consiglio ai giovani che vogliono iniziare la tua carriera?

  “Non scegliete di fare cinema. Poi, quelli veramente bravi, insisteranno e ci riusciranno.”

  I tuoi anni li porti bene. Hai qualche segreto? Alimentazione, attività fisica?

   “Quando sono in Egitto risiedo nella casa di mio figlio. Ogni giorno cammino per una mezz’ora nel parco. Qui, rispetto al Cairo, dove la popolazione cresce di un tre per cento l’anno, si respira bene.”

  Adesso è riapparsa la collaboratrice, segno che Omar Sharif deve riprendere a studiare il copione; ci salutiamo cordialmente, raggiungo il tassista, che nel frattempo ha fatto un rigenerante pisolino e subito sfrecciamo verso il Cairo.